Rifondazione alla battaglia degli aggettivi
Rifondazione alla battaglia degli aggettivi
di Francesco Ricci
L'aggettivo è quella parte del discorso che unita a un sostantivo lo qualifica o lo determina. Ma ciò vale nel campo grammaticale non in quello della politica. In politica gli aggettivi non qualificano né determinano la realtà e servono al più a far passare un imbroglione per un comunista.
Da sempre la socialdemocrazia si è connotata per i suoi zig-zag: un po' con i lavoratori, un po' con i padroni. Per essere funzionale al suo ruolo - praticare la collaborazione di classe, cioè convincere i lavoratori a sostenere le politiche dei loro avversari mortali - ha sempre avuto la necessità di cavalcare periodicamente le lotte rivendicative e i movimenti: per riuscire a fungere da cerniera tra esigenze di classe divaricate. Ma la socialdemocrazia che abbiamo conosciuto in altre epoche era una vera socialdemocrazia: aveva cioè la possibilità di accontentare i lavoratori con le briciole cadute dalla tavola del capitalismo. E' quanto succedeva negli anni Trenta o Quaranta, quando poteva contare sul controllo di movimenti di massa che tendevano al rovesciamento del capitalismo: e dunque poteva ricevere - in cambio del controllo controrivoluzionario delle masse - qualche concessione dalla borghesia. E' quanto succedeva negli anni del cosiddetto "boom" economico: quando la borghesia poteva soddisfare rivendicazioni minori per garantire uno sviluppo dei suoi profitti in una situazione di "pace sociale".
Purtroppo - per gli aspiranti socialdemocratici- oggi non vi sono né margini economici né un'ascesa rivoluzionaria tali da indurre la borghesia a fare concessioni. Anzi, la crisi crescente che attraversa il capitalismo mondiale richiede una politica di "rigore" e di contro-riforme. Così se il ruolo della socialdemocrazia resta immutato - incatenare la classe operaia al carro dei governi borghesi - i mezzi che le sono concessi per raggiungere questo scopo sono ben pochi: solo qualche aggettivo. Volendola rappresentare in una immagine, la socialdemocrazia odierna è Fausto Bertinotti costretto ad assistere alla parata militare, con la sola possibilità di strofinare con un dito - di tanto in tanto - la spilletta della pace.
Di fronte alla politica di vero e proprio attacco anti-operaio che il nuovo governo Prodi sta preparando (ne parliamo in altri articoli di questo giornale), agli aspiranti socialdemocratici di Rifondazione Comunista restano allora solo gli aggettivi. A ogni misura impopolare del governo Rifondazione impone una parola di accompagnamento. Così i Cpt non vanno più chiusi ma "superati" (e, nel frattempo, allargati). Le manovre finanziarie pesantissime (per i lavoratori) vanno bene purché si dica che vengono fatte in una logica di equità. Le politiche militari dell'imperialismo possono essere votate purché (come spiega il surreale documento approvato dall'ultimo Cpn di Rifondazione - 1) siano definite "in discontinuità" con quelle di Berlusconi. "Cambiare la politica estera dell'Italia" (2) annunciano trionfali i bertinottiani - mentre D'Alema vola dalla Rice a rinsaldare i vincoli con l'imperialismo statunitense.
Per rinforzare l'idea - che non entusiasma il corpo militante del Prc - che sia necessario sostenere lealmente le manovre di Padoa Schioppa e le guerre di D'Alema, Rina Gagliardi (che nel campo degli aggettivi ha fatto scuola) compila interi editoriali di Liberazione descrivendo il terribile complotto ordito dalla borghesia per far fuori i comunisti dal governo aprendo le porte al ricambio con i democristiani a disagio nel Polo. Sintesi del suo ragionamento (se si può usare questo termine): per evitare che le politiche anti-operaie del governo siano sostenute da Casini, dobbiamo sostenerle noi e farlo anche dimostrando un certo entusiasmo, per evitare di essere licenziati da Prodi.
Non c'è che dire: il suo posto di vice-qualcosa in parlamento se lo è meritato.
Non meno buffi sono i distinguo in cui si producono altri dirigenti del Prc, ciascuno interessato a occupare un qualche ruolo sfruttando l'imbarazzante posizione di Rifondazione. Specializzato in questa parte è Giorgio Cremaschi che incrocia spesso la lama (ma è solo un gioco, nessuno si farà del male) con il direttore di Liberazione, Piero Sansonetti. A giorni alterni, Cremaschi analizza le politiche del governo Prodi e ne sottolinea tutti i... limiti. Ovviamente non con intenzioni di classe, per carità. Solo appunto per aiutare il governo a superare questi limiti: che poi significa aiutare Prodi e la borghesia a superare il loro essere Prodi e la borghesia.
Camminano criticando, invece, le aree critiche del Prc. Grassi invita l'imperialismo a dare un "segno di discontinuità" sull'Afghanistan (3). In tal modo differenziandosi criticamente (come è nella sua natura) dal capogruppo Gennaro Migliore (un maestro del pensiero oscuro) che a sua volta invoca "un compromesso alto" sulla guerra afghana: cioè pretende nientemeno che su un pezzo di carta il governo Prodi scriva che le truppe di occupazione italiana continueranno il loro compito animate ora - qui sta la differenza con Berlusconi - "da una vocazione di pace" e da un "multilateralismo cosciente" (4). Infine arriva Giordano a pretendere una "exit strategy" che vale quanto il "superamento" dei Cpt. Che il governo si impegni insomma a dire che si ritirerà anche dall'Afghanistan: prima o poi.
Mentre scriviamo non si è ancora tenuta la seduta del parlamento per votare il finanziamento delle missioni militari. Probabilmente si chiuderà con un documento di "orientamento" che regolerà con un certo numero di aggettivi le missioni di rapina del colonialismo italiano, condendo tutto con richiami ripetuti alla "pace"; oppure il governo porrà la fiducia per salvare così le anime ai parlamentari "dissidenti". Abbiamo comunque una certezza: non solo Rifondazione non metterà in crisi il governo sulla questione della guerra (né su quella delle misure finanziarie né su qualsiasi altro tema vi venga in mente) ma anche i parlamentari delle aree critiche - di là da qualche sussulto di coscienza su qualche singola votazione (laddove non sia determinante) - non metteranno mai in discussione questo governo. Lo stesso Cannavò, dirigente di Erre, ha spiegato che la contrarietà alla missione in Afghanistan "deve conciliarsi con l'indisponibilità a provocare la crisi di governo e il ritorno delle destre" (5). Tradotto, signfica che con qualche aggettivo in più o, al limite, con il ricorso al voto di fiducia, il sostegno dei parlamentari "critici" non mancherà.
Questo è quello che è rimasto a poche settimane dall'ingresso al governo dei "due assi cartesiani" della politica di Rifondazione: i famosi "no alla guerra e no al liberismo". Il gruppo dirigente ha ormai traslocato nei palazzi del governo. Le sedi dei circoli sono deserte e non si vede più alcuna iniziativa (per cosa manifestare? per gli aggettivi sui testi dei generali Nato?). I militanti del partito si guardano intorno cercando di capire dove sia finito il lavoro enorme che hanno fatto in questi anni per costruire un partito comunista. E' nostro compito dialogare con questi compagni e chiedere loro di reinvestire le energie militanti in un altro processo fondativo di un partito realmente comunista, quello avviato da PC Rol: un processo che già oggi sta raccogliendo le migliori forze di tanti giovani e operai combattivi.
(28 giugno 2006)
(1) V. odg approvato a larga maggioranza dal Cpn del Prc del 17 giugno; pubblicato su Liberazione del 28 giugno 2006.
(2) Ibidem.
(3) Su Liberazione del 24 giugno 2006.
(4) Liberazione, 25 giugno 2006.
(5) "Quattro ragioni per dire no alla missione in Afghanistan", pubblicato su Liberazione e reperibile anche sul sito di Erre-Sinistra Critica.