COSTRUIRE IL PDAC NEL VIVO DELLE LOTTE
Sintesi della relazione di Ruggero Mantovani
sul punto politico nazionale
"Monopoli, oligarchia, tendenza al
dominio anziché alla libertà, sfruttamento di un numero sempre maggiore di
nazioni piccole e deboli per opera di un numero sempre maggiore di nazioni più
ricche o potenti: sono le caratteristiche dell'imperialismo, che ne fanno un
capitalismo parassitario e putrescente... potrà magari durare per un tempo
relativamente lungo ma infine sarà fatalmente eliminato" (Lenin, L'Imperialismo).
Oggi come ieri si conferma la crisi
capitalista e le sue ricadute sui lavoratori. Non è un caso che per il 2010
l'Ocse prevede in Europa 29 milioni di disoccupati e che in Italia abbiamo
registrato, ad oggi, la maggior perdita di lavoro dal 1994.
Il deficit di bilancio e i debiti
pubblici, amplificati da una operazione di "socializzazione delle perdite"
subite dalle varie borghesie nazionali, verranno sanati a spese delle classi
subalterne: ne sono esempi inequivoci il nuovo modello contrattuale, i tagli
alla scuola pubblica, alla sanità e alle pensioni. Come affermato dal direttore
del Fmi (che non ha certamente simpatie marxiste) la crisi deve ancora finire,
anzi l'esponenziale aumento della disoccupazione rischia di provocare vere e
proprie "esplosioni sociali".
Una crescita progressiva e costante della lotta di classe
Anche in Italia il conflitto sociale è
emerso in questi mesi in forme radicali: dopo la l'Innse migliaia di lavoratori
salgono sui tetti, occupano le fabbriche. Da oltre un anno e mezzo la lotta di
classe anche in Italia sta assumendo forme sempre più radicali.
La lotta dei lavoratori Alitalia/Cai in particolare
è stata esemplificativa, poiché ha segnato due campi di classe definiti: i
lavoratori Alitalia da un lato e dall'altro un muro compatto, prima del governo
di centrosinistra, poi del governo Berlusconi, ben coordinati da Colaninno e
sostenuti da tutta la burocrazia sindacale concertativa.
Poi è stata la volta degli immigrati e
del sindacalismo di base: il 4 ottobre
2008 (poi replicata nell'ottobre del 2009) è stata la prima vera manifestazione
nazionale a Roma contro la politica securitaria e razzista del governo. Il
vento della lotta cominciava a soffiare, tant'è che il 17 ottobre era la volta
dello sciopero generale contro il governo e il padronato (poi di nuovo
replicato nell'ottobre del 2009) proclamato da Rdb Cub, C. Cobas e Sdl.
Quello sciopero non era soltanto il primo
vero sciopero contro il governo e il padronato, ma dava inizio a quell'onda
crescente di mobilitazione nella scuola e nell'università contro la devastante
riforma del ministro Gelmini. Dopo qualche settimana si mobilitavano i
lavoratori del commercio contro l'accordo del 18 luglio, e subito dopo i
metalmeccanici che avevano programmato una mobilitazione nazionale, malgrado la
volontà della burocrazia Cgil contraria a battersi per l'unificazione delle
vertenze in una grande giornata di lotta e di sciopero generale.
L'ascesa costante del conflitto sociale
ha visto in questi ultimi mesi mobilitarsi la classe operaia: gli operai Innse occupavano
un carroponte a circa dieci metri di altezza, sostenuti da altri lavoratori e
compagni che presidiavano la fabbrica per impedire lo smontaggio e la rimozione
dei macchinari industriali; gli operai dell'Alcoa di Portovesme in Sardegna rapivano
per qualche ora il direttore rivendicando come unica vera soluzione
contro la chiusura della fabbrica, i licenziamenti e la cassa integrazione, la
lotta e l'occupazione; gli
operai della Videocon di Anagni, manifestavano
contro i preannunciati licenziamenti salendo sui tetti dello stabilimento e
occupando un'ala della fabbrica..
Non si può certo dire che sia mancata
la disponibilità alla lotta in questi mesi. Quello che è mancato e continua a
mancare è un'indicazione di lotta generale e unificante che può essere realizzata solo con la ripresa di un
conflitto generalizzato e di massa nella prospettiva del superamento del
capitalismo. Ciò che richiede una direzione alternativa del movimento operaio:
alternativa alle attuali.
Il bipolarismo: strumento della borghesia imperialista
Il bipolarismo si conferma la formula
privilegiata della borghesia italiana nel difficile compito di normalizzare il
quadro sociale che, tanto più oggi, fa emergere tendenze neo autoritarie, effetto
di una progressiva semplificazione del quadro politico.
Il governo Berlusconi fin da subito ha mostrato il
suo carattere di classe, razzista e reazionario, e impresso un'accelerazione
alla politica di guerra e di rapina tracciata dal precedente governo Prodi. Il
governo Berlusconi è nato sulla spinta della piccola e media borghesia, di
settori minoritari della grande borghesia e delle banche - col sostegno dei
settori più reazionari della Chiesa cattolica - ma ha infine ottenuto il
sostegno anche delle maggiori organizzazioni industriali e bancarie, che si
sono adattate ad esso, pur non essendo il governo che avrebbero preferito. Un disegno che oggi trova una battuta d'arresto
nell'intreccio di fenomeni maturati in quest'ultimi tre anni, sia a livello nazionale
che internazionale: l'impossibilità di Berlusconi di realizzare una politica di
finanziamento del capitalismo italiano attraverso l'avvio di opere pubbliche e
di pesanti sgravi fiscali (continuo rimprovero della Confindustria della
Mecegaglia), indotta dalla crisi economica mondiale e dal patto di stabilità
europeo, ha acuito una crisi di egemonia in particolare sul quel blocco sociale
piccolo e medio borghese a vantaggio della Lega.
La
situazione politica italiana ha registrato in questi ultimi mesi alcuni fatti: la
bocciatura del Lodo Alfano da parte della Corte costituzionale e lo scontro tra
Presidenza del Consiglio e Presidenza della Repubblica. Fatti che hanno impresso,
in un clima già da tempo alterato, un'improvvisa accelerazione in direzione di
una possibile crisi delle istituzioni borghesi. In questi mesi abbiamo
registrato uno sviluppo delle componenti reazionarie del berlusconismo:
mortificazione del parlamento, conflitto con la magistratura e la stampa.
Questo quadro si è combinato con il mancato successo elettorale del PdL, con lo
sviluppo della corsa alla successione all'interno della maggioranza (tensioni
con Fini), con i conflitti emersi con settori della Chiesa (area Ruini), ed
infine con le contraddizioni sviluppatesi nel blocco sociale di riferimento del
centrodestra: insoddisfazione crescente di strati popolari nel Sud e di settori
di piccola e media borghesia del Nord.
Se da un lato è possibile che il Presidente del
Consiglio utilizzi la riforma costituzionale come minaccia per cercare in
realtà un nuovo punto d'equilibrio all'interno dell'attuale quadro
istituzionale; dall'altro è altrettanto probabile che Berlusconi intraprenda concretamente la via della riforma
costituzionale in senso presidenzialista. Con ogni probabilità assisteremo al
tentativo di Berlusconi di blindare questa legislatura e l'attuale maggioranza,
come quadro di sviluppo della propria operazione politico - istituzionale, puntando
su qualche successo d'immagine (l'attentato della madonnina), sul perdurante sostegno
della Confindustria, che guarda con imbarazzo la via populistica del Cavaliere,
ma soprattutto sui segnali di disponibilità del Pd a guida Bersani - D'Alema in
merito al riavvio di una politica bipartisan sulle riforme costituzionali,
magari lasciando alla maggioranza la responsabilità di una nuova legge salva
Berlusconi.
Con l'affermazione di Pierluigi Bersani, il Pd
guadagna probabilmente una guida più esperta e sicura, ma al servizio di una
linea immutata di corteggiamento di Confindustria e dei poteri forti. La
nascita del Partito Democratico rappresenta l'esito della strategia varata fin
dalla Bolognina: emanciparsi da forza di governo ad asse centrale di una nuova
rappresentanza della borghesia italiana, che superando un ruolo di subalternità
al centro tradizionale borghese, oggi è divenuta la direzione centrale del
partito democratico. Una forza di governo non episodica, come era stata quella
del Pci - ad esempio nel dopoguerra il partito di Togliatti o alla fine degli
anni '70 con il governo delle larghe intese - ma, nella crisi emersa nel quadro
politico degli anni '90, determinante per la transizione della borghesia
italiana nel blocco imperialistico europeo. L'asse Bersani- D'Alema- Letta e
Colaninno è quello più direttamente legato agli ambienti confindustriali e
bancari, ben rappresentati nella Fondazione Italiani Europei. Gli stessi
ambienti e interessi peraltro che il pluriministro Bersani ha lautamente
servito per anni, con detassazioni dei profitti, privatizzazioni,
precarizzazione del lavoro: quelle politiche che hanno colpito i lavoratori
spianando la strada a Berlusconi.
Questo Pd oggi tende a superare la denuncia
demagogica del berlusconismo alla coda del populismo di Di Pietro, e mostra
maggiore disponibilità negoziale sulla "riforma costituzionale" con Berlusconi,
nel nome della "pace istituzionale" richiesta da Confindustria e dal Corriere
della Sera.
La sinistra perdente di riformisti e centristi
Il bertinottismo, cioè il riformismo di
questi anni, una scuola in cui è cresciuto non solo Vendola ma anche Ferrero, è
la migliore dimostrazione che ogni (apparente) svolta a sinistra è sempre
servita unicamente per accumulare forze per la successiva svolta a destra.
Non è un caso che il Comitato Politico di
Rifondazione, di metà settembre dello scorso anno, abbia applicato questo
teorema: la svolta a destra è stata preparata dalla precedente svolta a
sinistra, cercando nuovi accordi di governo col Pd per le regionali.
La disponibilità offerta da Ferrero è
quindi più che altro un segnale lanciato al Pd e alla borghesia: il gruppo
dirigente del Prc è pronto a riassumere il ruolo di sgabello di governo: oggi
nelle regioni (sulla base dei consueti "accordi di programma " che si
estenderanno fino all'Udc, annunciati qualche giorno fa dalla segreteria del
Prc anticipando Casini) e domani in un nuovo esecutivo nazionale a guida Pd.
Dal versante del Pcl non c'è molto di
nuovo da dire, essendo la sua attività circoscritta alle apparizioni mediatiche
(in calo tra l'altro) del suo leader. Dalla proposta del "parlamento delle
sinistre", all'appello di Ferrando a tutte le forze radicali inclusa
quella di Di Pietro contro l'offensiva berlusconista con annessa partecipazione alla manifestazione del 5 dicembre:
insomma sempre più a destra l'importante è la visibilità del capo.
Per ciò che concerne Sinistra Critica nemmeno
qui abbiamo la radicata organizzazione di cui parlava Flavia D'Angeli in
campagna elettorale (vantando la propria organizzazione in raffronto alla
nostra). Manca (anzi è rimossa) la necessità di costruire un partito; manca il
concetto di programma transitorio, manca la prospettiva di potere dei
lavoratori. A ciò si aggiunga che sulla necessità di un partito comunista
internazionale Sc fa un ulteriore passo indietro: non sarà più (come l'Npa in
Francia) sezione del Segretariato Unificato.
Non è strano, allora, se in
contrapposizione al documento di maggioranza è stato discusso al Congresso di
Sc un testo alternativo che, con notevole lucidità, proponeva di esplicitare
ciò che nel testo di Turigliatto è implicito, sviluppando la linea di Sc fino
alle sue logiche conseguenze: la necessità "per questa fase" di un
programma "radicalmente riformista" e l'ingresso (visto che di
costruire un partito non se ne parla) nella Federazione insieme a Prc e Pdci.
Cosa prova a fare invece il PdAC
Nessuno di questi progetti soddisfa le
esigenze della fase e cioè una crescita organizzata delle lotte e per questa
via la costruzione di una unità della classe: unità che può avvenire solo nella
piena indipendenza dalla borghesia, dai suoi partiti, dai suoi governi, dalle
sue giunte, dai suoi agenti burocratici nel sindacato, nei partiti e nella
prospettiva di alternativa di potere dei lavoratori.
Questa esigenza è al centro del dibattito
congressuale del nostro partito.
Un partito indipendente dalla borghesia,
ma non autosufficiente, che vuole costruirsi nelle lotte: nella Cgil gli attivisti del PdAC si sono collocati
nella Rete 28 aprile, contro la linea concertativa e di collaborazione di
classe della maggioranza, per una reale svolta programmatica e organizzativa. Nel
sindacalismo di base, i militanti del nostro partito avanzano una battaglia per
l'unificazione del sindacalismo di base, per una reale costruzione di un
sindacato di classe che rivendichi una piattaforma anticapitalista e sia basato
su una reale democrazia interna.
Sono queste solo alcune delle battaglie politiche e
sindacali che abbiamo condotto in questi tre anni, per rafforzare il radicamento del partito, consapevoli che la crisi storica
dell'umanità è, come asseriva Trotsky, anzitutto crisi di direzione del
proletariato mondiale. Una nuova direzione del movimento operaio è urgente e
necessaria: un partito che ambisca, per dirla con Lenin, a " ricostruire il mondo, a mettere fine alla
guerra imperialista mondiale, che non può terminare con una pace reale senza la
più grande rivoluzione proletaria della storia." Insomma e' tempo della
nascita del partito della rivoluzione proletaria: se non ora quando.