Congresso Cgil: il documento alternativo e l’intervento dei rivoluzionari
di Alberto Madoglio
È vero che molte volte si rischia di cadere nella retorica e in un eccesso di enfasi, tuttavia crediamo di non esagerare dicendo che il XIX Congresso della Cgil cade in uno dei momenti più gravi e carichi di possibili ripercussioni negative per i lavoratori del Paese.
La sostenuta crescita che l’economia italiana aveva registrato lo scorso anno, negli auspici delle classi dominanti e del loro governo, era il segnale di una svolta positiva dopo anni di «magra». In realtà si era solo trattato di un rimbalzo dopo la rovinosa caduta del Pil nel 2020, causato dall’esplosione dell’epidemia di Covid-19 e dai conseguenti blocchi o rallentamenti nella produzione a livello nazionale e globale. Tutte le debolezze che hanno caratterizzato la struttura economica e finanziaria nazionale erano lungi dall’essere risolte.
Il 2022 è iniziato con previsioni al ribasso per quanto riguarda la crescita del Pil, ma sempre all’interno di un quadro che lasciava sperare che il peggio della crisi economica post Covid fosse alle spalle.
Una situazione che si aggrava
Il 24 febbraio scorso la situazione è cambiata radicalmente. La brutale aggressione militare della Russia all’Ucraina ha fatto precipitare il mondo in una situazione caotica che inevitabilmente si è riflessa anche sull’economia. Le presunte «sanzioni» imposte dai Paesi imperialisti al regime di Mosca, il clima di incertezza e paura che ogni conflitto ingenera tra le persone - soprattutto in un caso come questo in cui la guerra è per il momento regionale ma le conseguenze rischiano di dare un ulteriore colpo, forse definitivo, ai nuovi equilibri tra le potenze che la fine della guerra fredda e la globalizzazione capitalista dell’inizio degli anni Novanta del XX secolo avevano determinato - sono un’ulteriore spinta alla recessione.
Non entriamo qui nel dettaglio perché non è il tema della nostra analisi, ma sono sempre più numerose le previsioni, emesse da innumerevoli centri di ricerca ed istituzioni finanziarie, che indicano che nel 2023 l’Italia dovrà affrontare la terza recessione economica in poco più di un decennio (la prima si verificò tra il 2009 e il 2010, scatenata dagli sconvolgimenti causati dal fallimento della banca d’affari americana Leehman Brothers, la seconda nel 2020 per le ragioni che abbiamo accennato sopra, anche se segnali di rallentamento economico erano già evidenti dalla fine del 2019).
Al di là di quando queste previsioni troveranno o meno conferma, i colpi che il proletariato sta già subendo sono sotto gli occhi di tutti. Il dato più eclatante è quello che riguarda la devastante perdita di potere d’acquisto per i salariati.
Come se non bastasse il fatto che i lavoratori del Paese sono stati gli unici, a livello continentale, le cui retribuzioni a partire dagli anni ’90 si sono ridotte, costoro vedono il quadro inasprirsi ulteriormente a causa della crescita esponenziale del tasso di inflazione, cioè dell’aumento dei prezzi di merci e servizi. Ogni mese si assiste a una crescita esponenziale dei prezzi, che si sta pericolosamente avvicinando a raggiungere la doppia cifra, livello che non si raggiungeva da quasi 40 anni.
La burocrazia Cgil e le sue responsabilità
È in questa situazione veramente allarmante che la confederazione di Corso Italia inizia i lavori per definire la propria azione politica e sindacale per il prossimo quadriennio.
E come, anzi più che nel passato, l’apparato dirigente della Cgil rifiuta di fare un serio bilancio della propria politica che ha portato i lavoratori nella situazione che abbiamo brevemente descritto.
Il ruolo che la Cgil ha giocato negli scorsi decenni è stato veramente nefasto. Più le varie crisi si susseguivano una dopo l’altra, e più la Cgil assumeva il ruolo di garante per evitare che in Italia, a differenza di quanto capitava in altre nazioni, si verificassero lotte e mobilitazioni in grado di mettere in discussione il dominio della grande borghesia imperialista.
Basti ricordare che nel marzo 2020, nelle settimane iniziali della pandemia, mentre in molte fabbriche del Paese, in particolare del settore metalmeccanico, gli operai proclamavamo riuscitissimi scioperi spontanei che chiedevano il blocco della produzione per evitare il contagio sul posto di lavoro, i burocrati della Cgil si preoccupavano di siglare fantomatici protocolli sulla sicurezza, facendo fallire un’ondata di lotte che aveva la possibilità di trasformarsi in una mobilitazione di massa contro il governo Conte II, sostenuto da Pd e M5s.
O la firma, nella primavera del 2021, di un accordo con l’appena nominato esecutivo Draghi per modificare, in senso privatistico, il lavoro nella pubblica amministrazione.
E a chi si immaginava che il risultato delle elezioni dello scorso 25 settembre, con la probabilità che il nuovo premier fosse espressione di un partito della destra radicale come Fratelli d’Italia, spingesse Landini e soci ad assumere una postura più radicale, ha risposto lo stesso segretario della Cgil che in un’intervista al Messaggero del 30 settembre, si dichiara pronto a collaborare col nuovo esecutivo di centro destra.
Il congresso, per l’apparato della Cgil, deve svolgersi nel solco della continuità con le scellerate politiche degli ultimi tempi, e in modo che nulla possa mettere in discussione il controllo totale dell’apparato su milioni di iscritti.
Da parte nostra nulla di che stupirsi. Il fine ultimo della burocrazia sindacale è quello di difendere la propria esistenza e i propri privilegi al di là di ogni ragionevolezza o evidenza, anche a costo di tradire le aspettative di quei lavoratori che afferma di voler tutelare.
Proprio perché mossi da un insuperabile istinto di conservazione, i burocrati che guidano la Cgil hanno varato un regolamento congressuale così anti-democratico da far rimpiangere quelli precedenti, pur non essendo certo stati degli esempi di democrazia operaia. I tempi per svolgere le decine di migliaia di assemblee nei posti di lavoro saranno estremamente compressi. Così come sono ulteriormente limitate le possibilità per i semplici iscritti di partecipare ad assemblee non nel proprio luogo di lavoro per presentare e sostenere la posizione alternativa a quella della segreteria confederale. Così come i proclami alla lotta e alla mobilitazione rimangono solo sulla carta, nelle interviste e nelle dichiarazioni ai mass media, così come gli scioperi rimangono fatti isolati, così vale per la partecipazione democratica alla vita della Cgil. Le pompose dichiarazioni che periodicamente vengono fatte, volte a rappresentare la Cgil come la più grande organizzazione democratica del Paese, non valgono la carta sulla quale sono scritte.
L’area di sinistra interna e i suoi limiti
In questa situazione la presenza di un documento alternativo al congresso, presentato da un raggruppamento di aree programmatiche di sinistra per semplificare, è un fatto che potenzialmente può aprire la strada alla creazione di un’area classista, conflittuale, all’interno del sindacato.
Parliamo di un raggruppamento in quanto sostengono le tesi alternative tre aree: Il sindacato è un’altra cosa, Le giornate di marzo, Democrazia e lavoro.
La prima è l’area che negli ultimi tempi ha rappresentato un’opposizione di sinistra alla maggioranza. Negli ultimi anni ha subito diverse scissioni e rotture, a partire dall’abbandono di una parte dei suoi sostenitori ai tempi della fuoriuscita dalla Cgil di Cremaschi, che ne era il portavoce nazionale. Idem è avvenuto con Bellavita, anche lui uscito dal sindacato insieme a una parte importante di delegati sindacali, tra i quali diversi delegati delle fabbriche dell’Fca situate nell’Italia centro meridionale. La seconda area, nata attorno ad attivisti sindacali riconducibili all’organizzazione politica Sinistra Classe e Rivoluzione, fino alla primavera del 2020 era parte de Il Sindacato è un’altra cosa. La rottura avvenuta due anni fa è stata sostanzialmente una manovra di un piccolissimo settore di apparato che fa riferimento a Scr, e che, al di là delle dichiarazioni con cui spiegava la propria scelta, in verità cercava un dialogo con settori di maggioranza, in particolare la Fiom. Tanto che uno dei primi atti fu quello di astenersi nella votazione concernente la piattaforma per il rinnovo del contratto dei metalmeccanici, rifiutando nei fatti di fare una battaglia contro la firma di quel pessimo accordo.
La terza è una componente fino a non molto tempo fa organica alla maggioranza, delle cui posizioni sindacali si conosce ben poco, salvo una presa di distanza, che definire morbida è un eufemismo, riguardo l’accordo siglato nel marzo del 2021 tra governo e Cgil, Cisl e Uil, denominato «Patto per la coesione e l’innovazione sociale» (1).
Le tre aree quindi hanno trovato un accordo per presentare le tesi congressuali di Landini, il cui titolo è «Le radici del sindacato, senza lotte non c’è futuro». Possiamo dire che si è verificata l’unione di tre debolezze programmatiche e organizzative (nessuna componente era in grado di avere il sostegno necessario per presentare un testo proprio).
Se è senza dubbio importante, come ricordavamo poche righe sopra, che posizioni alternative possano esprimersi nella discussione, dubbi per come si è arrivati a questa collaborazione non mancano. Anzitutto, non è mai avvenuto un confronto franco e aperto in cui si facesse un bilancio di questi anni durante i quali, nonostante la Cgil si stesse spostando sempre più a destra, diventando il vero e proprio architrave che permetteva a padroni e governi di sferrare i loro attacchi ai lavoratori, la sinistra Cgil non è stata in grado di diventare il punto di riferimento della rabbia sociale che cova in larghi strati della classe lavoratrice. Anzi, quanto più vi erano le condizioni per far sì che l’opposizione alla linea concertativa e subalterna della maggioranza Cgil, tanto più l’area di sinistra entrava in crisi, incapace di diventare l’alternativa sindacale rivoluzionaria di cui si aveva bisogno.
In primo luogo, avrebbe dovuto essere compito dei dirigenti della componente Il Sindacato è un’altra cosa proporre un bilancio auto-critico. Allo stesso tempo, andava chiesto a coloro che hanno rotto con l’area nel 2020, e che fino al giorno prima erano parte della maggioranza della stessa, di fare a loro volta un bilancio delle loro esperienze e rivendicare, come punto di partenza necessario per una futura collaborazione, una rottura con le pratiche sindacali fino qui seguite.
Quello che manca e che serve
Nulla di questo è stato fatto, lo si può capire anche dalle tesi presentate, in cui non appare in nessun passaggio la necessità di una rottura con l’attività routinaria fin qui seguita, fatta prevalentemente, per non dire in maniera esclusiva, di un’opposizione tutta interna agli organismi sindacali.
Due sono i passaggi nelle tesi che, a nostro parere, confermano questo giudizio: primo, il fatto che non si spieghi come mai l’area non sia stata in grado di intervenire a sostegno di quella che, insieme alla lotta della Gkn, è stata la più grande mobilitazione operaia degli ultimi anni, quella condotta dai lavoratori Alitalia, che nei loro settori di avanguardia (di minoranza ma certamente molto significativi) si sono scontrati apertamente non solo contro i vertici aziendali ma con le stesse burocrazie sindacali che hanno lavorato costantemente per organizzare la sconfitta della mobilitazione e il licenziamento di migliaia di lavoratori; secondo, il rifiuto di contribuire all’espansione della sola esperienza di fronte unico d’azione presente oggi in Italia, il Fronte di Lotta No Austerity.
Il rischio è quello di trovarsi, dodici anni dopo, a una riedizione, in sedicesimo, di ciò che avvenne al XVI congresso, in cui l’opposizione alla maggioranza dell’allora segretario Epifani, venne fatta prevalentemente per esigenze di importanti settori di apparato (metalmeccanici e funzione pubblica su tutti), che poi tornarono in men che non si dica nei più sicuri lidi, per i burocrati, della maggioranza Cgil. Ora le cose sono molto diverse, se non altro perché Landini non ha certo bisogno di recuperare consensi tra chi solo di recente ha iniziato a manifestare il proprio dissenso. Tuttavia il rischio di perdere un’occasione storica, forse non ripetibile per molto tempo, esiste.
Parliamo di occasione storica in quanto ciò che ci aspetta nei prossimi mesi non è qualcosa di rituale: crescita dei prezzi, calo dei salari, aumento dei licenziamenti e della precarietà, tagli allo stato sociale. Questo è quanto ci aspetta nell’immediato futuro. Governo e padroni non riusciranno molto probabilmente a evitare che l’economia cada ancora in recessione. Cercheranno però, come sempre hanno fatto, di far sì che il prezzo della crisi venga pagato dalle classi sfruttate.
Allo stesso tempo temono che il malcontento sociale possa esplodere da un momento all’altro, consapevoli che è difficile che milioni di lavoratori accettino il loro destino passivamente. Scioperi, manifestazioni, rivolte che stanno interessando la maggior parte delle nazioni, dallo Sri Lanka alla Libia, dall’Ecuador all’Iran alla «tranquilla» e «pacifica» Norvegia, sono un’anticipazione di quello che nelle prossime settimane potrà avvenire anche da noi.
Un sindacato realmente combattivo e classista è quello di cui oggi c’è bisogno. I militanti del nostro partito iscritti alla Cgil parteciperanno alla discussione congressuale con questo spirito, consapevoli che le vere «radici» del sindacato si trovano nella lotta senza quartiere contro il capitalismo, la borghesia, i suoi governi e i burocrati sindacali, questi ultimi il vero pilastro che garantisce a questo sistema di continuare a sopravvivere. Non abbiamo certo intenzione di portare avanti una sterile battaglia per avere qualche posto in più negli organismi dirigenti.
La nostra azione sarà quella di «portare il socialismo» tra gli attivisti sindacali, di modo da far loro comprendere come oggi ogni rivendicazione sindacale, anche minima, non può che mettere in discussione il dominio della borghesia e la sua infinita sete di profitto, e che nello scontro tra capitale e lavoro il primo dovrà necessariamente soccombere se si vuole evitare di cadere in una barbarie senza fine.
Note
(1) «Patto per l’innovazione e la coesione sociale: ne valeva la pena?» www.progetto-lavoro.eu