Partito di Alternativa Comunista

Crisi finanziaria

Crisi finanziaria

UNA CORSA VERSO L'ABISSO

Il sistema capitalista non ha risposte. L'unica soluzione è il socialismo

 

 di Alberto Madoglio

 In un precedente articolo apparso sul nostro sito tre settimane fa, dicevamo che la crisi finanziaria iniziata nell’estate del 2007 era lontana dal trovare una soluzione e che avremmo assistito ad altri scossoni nel mondo della finanza globale. Siamo stati bravi profeti. Ecco cosa è successo in questi venti giorni.

 

Aig, la più importante compagnia di assicurazioni al mondo (famosa tra il grande pubblico per essere lo sponsor principale della squadra di calcio del Manchester United) è stata nazionalizzata dalla Federal Reserve per evitare il fallimento, a causa della forte esposizione nel mercato dei Cds (1). Le ultime due banche d’affari rimaste a Wall Street (Goldman Sachs e Morgan Stanley) hanno chiesto e ottenuto la possibilità di trasformarsi in semplici banche commerciali, estremo tentativo per evitare la bancarotta. Appena prima la Merryl Linch è stata acquistata dalla Bank of America. Venerdì 26 settembre, la maggiore cassa di risparmio americana, la Washington Mutual, ha dichiarato fallimento e le sue attività sono state acquistate dalla Jp Morgan Chase. Crollano non solo le banche specializzate in attività speculative ma anche quelle che presumibilmente avrebbero dovuto essere più caute nei loro investimenti.
A Hong Kong i risparmiatori hanno preso d’assalto gli sportelli di un istituto di credito, Bank of East Asia, per timore di perdere i loro depositi. In Inghilterra la Hbos, dopo aver perso il 20% del proprio valore di borsa, ha dovuto fondersi con il più piccolo Lloyd Tsb. Per salvare i gruppi bancari Fortis e Dexia sono dovuti intervenire i governi di Francia e Benelux. In Italia Unicredit, diretta da Profumo, grande elettore di Prodi e fan di D’Alema, fino a qualche giorno fa era considerata il gioiello della finanza tricolore. Oggi pochi scommettono su un suo futuro roseo. Si tratta di un vero e proprio bollettino di guerra, in cui si continua ad aggiornare la lista dei caduti.
 
Alcune semplici constatazioni
Le notizie di fallimenti e crolli si susseguono ogni giorno, meglio ogni ora. Dobbiamo fermarci e tentare di fare il punto della situazione. Partiamo da alcune semplici constatazioni.
1) la crisi durerà a lungo.
Le fibrillazioni politiche e dei mercati di questi giorni ne sono una prova.
Le borse stanno reagendo in maniera scomposta. Si passa dall’euforia quando sembra che si sia trovata la cura ai mali della finanza mondiale e Usa in particolare (presentazione del Piano Paulson), al panico senza controllo quando il piano viene bocciato. Stesso discorso vale per il mercato delle valute e delle materie prime, col petrolio e l’oro, in particolare, che hanno ripreso a salire.
2) La crisi è di solvibilità, non di liquidità, cioè non si tratta di una situazione in cui le aziende di credito sono sostanzialmente sane con una difficoltà più o meno momentanea a trovare fondi liquidi, ma si tratta di imprese non in grado di far fronte ai propri debiti.
3) Le perdite non riguardano solo i titoli più speculativi, ma gli investimenti in generale. Un anonimo banchiere americano raccontava che giorni fa, tentando di vendere fondi monetari, fino a poco prima considerati alla stregua di denaro liquido, quindi poco redditizi ma nei fatti sicuri, ha scoperto che avrebbe potuto farlo solo a un valore molto al di sotto di quello nominale.
4) Le banche non hanno fiducia l’una dell’altra, quindi non si prestano soldi, non trattano più alcuni strumenti finanziari che di fatto non hanno più un prezzo di mercato, ciò sta facendo avvitare su sé stessa la crisi finanziaria e rende molto incerto il successo del Piano Paulson.
5) Il piano di sostegno governativo alle banche in difficoltà proposto dal segretario al Tesoro Usa, non sembra essere in grado di ripristinare la fiducia e la stabilità necessaria ai mercati. Dopo l’euforia suscitata dalla sua presentazione, sia per la somma che si sarebbe investita in due anni (700 miliardi, pari al costo della guerra in Afghanistan e Iraq sostenuto dagli Usa), sia per l'apparire come una proposta di “sistema” e non una somma di azioni non coordinate fra loro, i dubbi sono via via aumentati. E di là della retorica, è apparso quasi subito come un regalo alle banche, una “socializzazione” delle perdite, dopo anni di privatizzazione degli utili. Tra l'altro si presta a manipolazioni enormi: non essendo più possibile, come detto in precedenza, fissare un prezzo di mercato per molti strumenti finanziari, se l’acquisto da parte del Tesoro degli “investimenti tossici” delle banche (toxic assets) avverrà a un prezzo troppo basso, si rischia di far emergere nuove perdite dai bilanci, in caso contrario si premieranno i responsabili del disastro attuale, spingendoli a commetterne altri in futuro. Inoltre essendo stato Paulson presidente della banca d'affari Goldam Sachs, non sembra il più adatto a risolvere la crisi in corso (2).
6) Le finanze Usa usciranno dalle crisi molto compromesse. Il deficit del bilancio federale per il 2009 rischia di superare il 10%, soglia raggiunta solo durante il secondo conflitto mondiale. Ancora peggiore la situazione del debito pubblico. Se prima del salvataggio di Fannie e Freddy si assestava a circa il 60% del Pil, oggi ha raggiunto la cifra di 15000 miliardi di dollari, a fronte di un Pil stimato in 14300 miliardi. Se aggiungiamo che per otre la metà è stato sottoscritto da investitori esteri, e che l’egemonia economico militare a stelle e strisce è in forte e inesorabile declino, le conseguenze per gli Usa possono essere devastanti (3).
7) Oltre che finanziaria la crisi negli Usa è politica. Bush nei fatti è stato esautorato dei suoi poteri, tutto è deciso dal Presidente della Federal Reserve, Bernanke, da quello della Federal Reserve di New York, Geithner, e dal citato Segretario al Tesoro, Paulson.
A questo aggiungiamo che il voto contrario della Camera dei Rappresentanti al piano Paulson, pur sostenuto dai due candidati alla Presidenza, è un’altra dimostrazione di come il sistema politico americano sia allo sbando.
8) Il crollo delle vendite in Usa, Europa e Giappone di automobili, della produzione industriale così come dei consumi a livello mondiale, i fallimenti nel solo 2008 di 30 compagnie aeree, provano che il dibattito su se e quando la crisi colpirà l’economia reale è datato: non è più un’eventualità ma la realtà odierna.
 
Una crisi di sistema e le impossibili vie d'uscita del sistema
In questa crisi -che è di sistema- spiccano per la loro inconsistenza le soluzioni da più parti avanzate.
In due differenti articoli apparsi recentemente su Repubblica, due cosiddette teste d’uovo della borghesia progressista, Giorgio Ruffolo e Guido Rossi (4), si sono limitati a invocare una sorta di rivoluzione morale del capitalismo, insieme a un nuovo sistema di regole per evitare il ripetersi di eventi come quelli che stiamo vivendo.
Ora, se un sistema economico e sociale ha prodotto negli ultimi 15 anni, solo per citare i casi più clamorosi, il fallimento delle finanze messicane nel 1995 (crack dei bond tequila), la crisi valutaria in Asia nel 1997 e il fallimento economico finanziario della Russia l’anno seguente, il crack in Argentina nel 2001, l’esplosione della bolla legata alla New economy con i fallimenti plurimiliardari di Enron e World Com all’inizio del XXI secolo, la speculazione sulle materie prime che sta letteralmente facendo morire di fame centinaia di milioni di persone, allora forse servirebbe qualcosa in più che un nuovo sistema di regole per un suo corretto funzionamento.
Allo stesso tempo è velleitario invocare un ritorno alla supremazia della manifattura rispetto alla finanza. A tal proposito ricordiamo che sulla stessa stampa borghese anche questa volta ci è stato ricordato che il primo shock legato alla speculazione fu quello verificatosi nei Paesi Bassi (allora superpotenza commerciale) nel XVII secolo, legato alla coltivazione dei tulipani; che due secoli dopo in Inghilterra un’altra crisi fu creata dalla speculazione connessa alla costruzione di ferrovie; e che la situazione odierna è molto simile, per non dire identica, a quella che si manifestò negli Usa nel 1907: credito facile, speculazione immobiliare spinta all’eccesso, crollo di istituti di credito.
Noi oggi sorridiamo nell’apprendere che fu un fiore molto profumato a mettere in crisi un sistema, quello capitalista, che stava appena nascendo. Ma tutto ciò dimostra come sia impossibile scindere finanza e produzione in un sistema che ha come unica morale quella del profitto. Siamo sicuri che Giorgio Ruffolo, quando ancora si firmava Corrado Serra ed era uno dei dirigenti trotzkisti in Italia nel dopoguerra, queste cose le ha ben chiare; peccato che le abbia dimenticate (o forse ha preferito abbandonarle per una vita che lo ha reso sicuramente più celebre, ma senz’altro meno onesto intellettualmente).
Tuttavia è un dato statistico di cui nessuno parla che può darci la spiegazione ultima della crisi in atto, e allo stesso tempo annunciarne altre a venire. Nel mese di agosto l’utilizzo degli impianti industriali negli Usa è stato del 78,7% (5).
Cosa ci dice, nella sua semplicità questa cifra? Che nella più grande potenza industriale del pianeta vi è una sovra-accumulazione pari a un quinto di tutto il capitale investito. E’ una cifra enorme. Per avere un’idea di cosa significhi è come se tutta l’industria italiana, dalla piccola fabbrica del nord est ai grandi impianti della Fiat, delle Acciaierie Riva ecc., non fossero usati perché non redditizi (6).
Finché questa mostruosa eccedenza di capitale non sarà distrutta, è assolutamente insensato parlare di ripresa economica solida e su vasta scala, così come è utopistico cercare di limitare gli eccessi della finanza. Il capitale è assetato di profitto, se non lo realizza con la produzione di merci, cercherà altri modi per soddisfare questa sua ineluttabile esigenza.
 
Una soluzione imperialista alla crisi: la guerra
La storia ci ha insegnato che una distruzione di capitale di queste dimensioni non può essere indolore.
Il boom degli anni 50 non fu dovuto né al trionfo del keynesismo, né al successo delle politiche del New Deal. Fu il terribile macello della seconda guerra mondiale, costato oltre cinquanta milioni di morti, e una distruzione del 30% (secondo stime largamente condivise dai maggiori economisti) del capitale allora presente, che creò la base materiale per quella che gli apologeti del capitalismo indicano come la sua epoca d’oro.
L’economia di mercato sta inesorabilmente portando l’umanità verso il precipizio di nuove e più grandi guerre, depressioni economiche e carestie.
Il primo conflitto mondiale che segnò la fine definitiva della supremazia planetaria del Regno Unito, rischia di impallidire rispetto a quello che comporterà la fine dell’egemonia americana, oppure una sua, al momento difficile ma non improbabile, ripresa.
Oggi più che nel passato alle masse diseredate del pianeta serve una direzione politica, un partito mondiale della rivoluzione, che indichi un’alternativa credibile alle egemonia del profitto. La lotta di classe in futuro è destinata a radicalizzarsi. Una prospettiva socialista e rivoluzionaria è la sola vera via d’uscita per l’umanità.
Il partito di Alternativa Comunista e la Lega Internazionale dei Lavoratori si stanno impegnando proprio per la realizzazione di questo fine.
 
Note
 
(1) Cds (credit default swap) nati come strumenti per assicurare gli investitori dal fallimento delle banche, a causa della loro insensata proliferazione (si parla di un valore dei Cds oggi in essere superiore all’intero Pil mondiale!) si sono trasformati in fattori che hanno favorito quegli eventi che inizialmente volevano evitare.
(2) Mentre scriviamo, il Senato Usa ha approvato il piano in precedenza bocciato dalla Camera dei Rappresentanti. Non si deve però pensare che i deputati contrari al piano siano mossi dalla volontà di difendere le classi sfruttate americane. La maggior parte dei contrari sposa idee ultraliberiste e rifiuta ogni intervento statale anche quando è ha sostegno dei Trust privati che loro rappresentano.
(3) Il capo economista di Moody’s (famosa società di rating) afferma di aver messo sotto osservazione il soverign rating Usa. Un suo downgrading (bocciatura) non appare più come un’eresia. (Affari e Finanza 29/09/08)
(4) Ruffolo, "La crisi morale del capitalismo", Repubblica, 24/09/08.
Guido Rossi, "Il grande tonfo del capitalismo di mercato", Repubblica, 26/09/08
(5) Da http://miaeconomia.it
(6) Per l’Italia Confindustria fornisce una dato peggiore: 75,7% nel secondo trimestre. Tutto lascia pensare che cifre simili valgano anche per le altre maggiori potenze industriali del pianeta, a riprova di come la crisi di sovra accumulazione sia oramai generalizzata.

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