Anche in Brasile la crisi economica colpisce i lavoratori e i settori popolari con molta violenza. Il fatto di essere considerato uno dei Paesi “emergenti” con i migliori tassi di sviluppo degli ultimi tempi non ha reso il Brasile immune dagli effetti della crisi: le analisi degli economisti borghesi – secondo cui il Paese latinoamericano avrebbe potuto, insieme agli altri componenti del cartello denominato Bric (Brasile, Russia, India, Cina), contrastare o addirittura invertire il processo recessivo mondiale – sono state seccamente smentite dalla realtà: in soli cinque mesi, licenziamenti di massa hanno determinato la perdita di quasi un milione di posti di lavoro.
Nel tentativo di recuperare i margini di profitto, il capitalismo ha scaricato sui lavoratori la crisi; e questo – senza nessun automatismo, poiché i marxisti rivoluzionari non hanno una lettura meccanicistica della realtà – ha prodotto indubbiamente un acuirsi della lotta di classe. Penso alle lotte nell’impresa mineraria Vale do Rio Doce, a quelle dei lavoratori della General Motors e della Embraer.
Le potenzialità delle dinamiche di massa in Brasile sono notevoli, però vanno lette nella situazione complessiva in cui la presenza di un governo di fronte popolare come quello di Lula costituisce un freno oggettivo allo sviluppo delle lotte a causa del ruolo svolto dalle organizzazioni politiche e dalle grandi centrali sindacali burocratiche che hanno il controllo di ampi settori popolari e dei lavoratori.
Con la sua ferma politica di denuncia delle politiche borghesi del governo Lula, e contemporaneamente spiegando pazientemente alle masse che quello non è il “loro” governo, il Pstu si costruisce indubbiamente come un partito d’avanguardia con influenza di massa. Attraverso la direzione di Conlutas, che è il più grande sindacato antiburocratico brasiliano, svolge un ruolo importantissimo nella costruzione delle lotte in Brasile e nella riorganizzazione del movimento operaio in tutta l’America Latina. Ne costituisce un esempio l’Elac (Encuentro Latinoamericano y Caribeño de los Trabajadores, di cui abbiamo scritto sul nostro sito e sul nostro giornale, Progetto Comunista), convocato su impulso proprio di Conlutas e tenutosi nello scorso mese di luglio: non si è trattato solo di un’occasione per un’episodica assemblea di lavoratori e sindacalisti, ma l’Elac si è stabilizzato come propulsore dell’unificazione delle lotte in tutto il continente sudamericano (significativo è lo slogan “Tante voci, una sola lotta”) e oggi, con un appello ai lavoratori delle fabbriche automobilistiche di tutto il mondo a partire da quelli della GM brasiliana, vuole dirigere le proprie parole d’ordine – lotta, unità e indipendenza – al movimento operaio degli altri continenti, primo fra tutti quello europeo.
In questo senso, il ruolo del Pstu e di Conlutas è insostituibile. Il giorno nazionale di protesta svoltosi lo scorso 30 marzo in tutto il Brasile – ho avuto la fortuna di partecipare a quello tenutosi a Rio de Janeiro [le foto che pubblichiamo in questa pagina sono di quella grande manifestazione, ndr] – in tanto si è realizzato con le modalità dell’unità di tutte le sigle sindacali e popolari, in quanto proprio Conlutas ha spinto su quest’obiettivo contrastando le spinte in direzione della frammentazione delle lotte che venivano soprattutto da parte delle direzioni burocratiche (Cut e Força Sindical). Certo, alcune delle organizzazioni partecipanti sono e restano fiancheggiatrici del governo Lula, ma è senz’altro merito del grande peso e della presenza in piazza delle colonne di Conlutas e del Pstu se le grandi manifestazioni che hanno attraversato il Paese non si sono trasformate in manifestazioni filo-governiste. In ogni caso, la realizzazione unitaria di questo giorno di protesta resta un risultato di enorme importanza per i lavoratori e le classi sfruttate, l’inizio di un processo di resistenza che Conlutas e Pstu vogliono sviluppare rafforzandone la continuità.
Sì. A condizione che non stia a “guardarsi l’ombelico”. Voglio dire che la costruzione di un partito rivoluzionario, anche a partire da un piccolo nucleo, può avvenire solo all’interno delle lotte di un dato Paese e, soprattutto, nel quadro della costruzione di un’Internazionale rivoluzionaria dei lavoratori. Ci sono decine di organizzazioni – e addirittura piccole sette – che provengono anche dal trotskismo e che formalmente se ne proclamano i continuatori: tuttavia, la maggior parte di esse sono completamente slegate dalle lotte che sorgono e, d’altro canto, rifuggono da una costruzione sul piano internazionale.
Dunque, anche un piccolo partito può avere un ruolo centrale, partecipando alle lotte, favorendo i processi di riorganizzazione del movimento operaio e contribuendo alla costruzione di un’organizzazione internazionale rivoluzionaria: quello è un partito trotskista. Il Pstu, che non è oggi più un piccolo partito, è cresciuto e sta crescendo appunto in questa dinamica.
Ogni Paese ha la sua specificità. È evidente che ci sono modalità differenti di costruzione di un partito trotskista a seconda della latitudine – non certo “geografica”, ma della lotta di classe – di un Paese o un altro. Il Pstu è profondamente calato nella realtà della lotta di classe del Brasile, che presenta condizioni del tutto differenti rispetto ad altri Stati addirittura dello stesso continente. E tuttavia, la “lezione”, se per lezione intendiamo le condizioni di costruzione e sviluppo di un partito e di un’Internazionale trotskista di cui ho appena detto, è sicuramente valida: è una “lezione” che noi del PdAC cerchiamo di applicare in Italia, nel quadro della Lit-Quarta Internazionale.