Partito di Alternativa Comunista

Milioni di giovani studenti e lavoratori in piazza contro il Cpe: non

Per uno sciopero generale ad oltranza fino alla cacciata del governo Villepin
 
di Fabiana Stefanoni
 
"Ce n'est qu'un début": è questo uno degli slogan - presi in prestito dal Sessantotto francese - che più si sentono scanditi nelle manifestazioni studentesche nelle principali città della Francia. Ma non sono più solo gli studenti a protestare: sabato 18 marzo colossali manifestazioni (più di 300 mila a Parigi, più di un milione in tutta la Francia) hanno visto scendere in piazza, accanto agli studenti medi e universitari, tantissimi giovani (e meno giovani) lavoratori, ragazzi delle banlieues, insegnanti, attivisti sindacali. La parola d'ordine della manifestazione -sulla base della quale il corteo si è concluso e che ha costretto anche le restie burocrazie sindacali a riprenderla nei comunicati immediatamente successivi- non lasciava spazio a fraintendimenti: "sciopero generale contro il governo, fino al ritiro del provvedimento". Di fatto, un ultimatum per De Villepin. Se si considera che, per stessa ammissione della stampa borghese, l'80% per cento dei francesi si è dichiarato contrario al Cpe (il "Contratto di primo impiego", il cui varo ha dato il via alle proteste), è difficile, nonostante "l'impegno" della stampa e dei Tg di casa nostra, occultare il carattere esplosivo della situazione francese.
La radicalità dei giovani, le titubanze dei sindacati e dei partiti della sinistra sociale
 
I giovani studenti -universitari e non- francesi, già tartassati dai pesanti tagli della cosiddetta legge sulla scuola, non hanno dubbi: dopo la grande mobilitazione di sabato scorso, sull'onda delle giornate di radicale protesta delle scorse settimane, occorre subito uno sciopero generale che blocchi la Francia. Tra domenica e lunedì gli studenti francesi -che si sono dati un'organizzazione nazionale (di tipo "consiliare", con delegati eletti e revocabili) e dotati di strutture in grado di coordinare sulla base di una piattaforma comune le proteste degli atenei e istituti delle varie città- hanno sottoscritto un appello ("appello di Digione") col quale chiedono alle organizzazioni sindacali l'indizione dello sciopero generale. Le rivendicazioni studentesche non si fermano alla messa in discussione del solo Cpe: si chiede il ritiro di tutta la legge, cioè, tra l'altro, l'abolizione dell'apprendistato e delle misure volte ad arginare le proteste nelle banlieues (con penalizzazioni per le famiglie di studenti "indisciplinati"); l'aumento dei posti per gli insegnanti; l'amnistia per i giovani delle banlieues condannati a novembre; il ritiro della legge sull'immigrazione di Sarkozy. Nel frattempo, la stragrande maggioranza delle università resta in stato di occupazione, 300 licei sono in agitazione, le proteste e i cortei sono pressoché quotidiani.
 
Ma l'appello non è stato accolto dalle burocrazie sindacali: dopo aver fatto, costretti dalla forza della piazza, la voce grossa nel corso della giornata di sabato con un "ultimatum farsa" in cui chiedevano il ritiro del provvedimento entro 48 ore pena l'indizione dello sciopero generale, le direzioni dei principali sindacati francesi (Cgt e Cfdt in testa), paventando il "pericolo" dello sciopero "insurrezionale", hanno presto ritirato le buone intenzioni: nel tentativo di smorzare la protesta, si sono limitati ad indire una giornata di mobilitazione per il 28 marzo, senza sciopero generale (per ora è previsto solo uno sciopero nelle ferrovie). Come sempre, quando soffia il vento della concertazione le burocrazie sindacali preferiscono sedere al tavolo delle trattative: la riunione dei vertici dei principali sindacati francesi di lunedì pomeriggio ha preferito confrontarsi, più che con le rivendicazioni dei giovani in piazza, con le recenti prese di posizione degli industriali francesi. Questi, infatti, temendo l'inasprirsi della lotta, hanno prestamente scaricato De Villepin indicando a governo e sindacati possibili vie di "compromesso": ad esempio, la riduzione da due a un anno del periodo nel quale i padroni possono licenziare e la reintroduzione della giusta causa. Nonostante la volontà del governo di trattare si sia per ora concretizzata nelle aggressioni poliziesche ai cortei e nel ferimento dei manifestanti (un sindacalista è in coma), i sindacati per ora non paiono intenzionati a prendere in considerazione lo sciopero generale.
 
La precarizzazione del lavoro: quali opposizioni?
 
Il Cpe non è la prima legge precarizzante in Francia: prendendo a pretesto la "necessità di combattere la disoccupazione" (che anche in Francia, quasi come in Italia, continua a crescere e ha raggiunto il 22,2%) i governi di centrodestra e centrosinistra si sono ingegnati nell'inventare vari tipi di contratti precari. Fra il 1997 e il 2002 il governo Jospin ha dato il via ad una politica di liberalizzazioni e privatizzazioni che ha aperto la strada agli attuali contratti precari: più o meno quello che è avvenuto in Italia, con il famigerato "Pacchetto Treu" del primo governo Prodi: la Legge 30 - che pure non viene messa in discussione nel suo complesso nemmeno dagli esponenti dell'Unione -non è altro che la logica conseguenza della stagione precedente.
 
L'antecedente immediato del Cpe è il Cne ("Contratto di nuovo impiego"), in vigore dal 2005, che prevede, per le aziende con meno di 20 dipendenti, la possibilità di licenziare -senza necessità di preavviso né giustificazione ed entro un periodo di ben due anni- i neoassunti di età inferiore ai 26 anni. Per un biennio, trattandosi, in base alla legge, di un periodo di "consolidazione dell'impiego", quello che è un licenziamento di fatto non lo è invece sul piano giuridico: per il padronato si tratterà di una semplice "rottura del periodo di prova". La novità introdotta dal Cpe consiste nel fatto che questo tipo di contratto viene esteso anche alle aziende con più di 20 operai: in altre parole, il padronato non avrà più vincoli di sorta e la giovane classe operaia, oltre a trovarsi in una condizione di pesante ricattabilità, sarà in uno stato di precarietà permanente.
 
Alla gravità di questo e altri provvedimenti - nonostante la radicalità delle proteste di piazza, nelle scuole e nei luoghi di lavoro -i partiti della "sinistra" francese hanno risposto con timide o ipocrite osservazioni. il Ps (Partito socialista) si è ovviamente affrettato a condannare la violenza, non quella della polizia ma dei giovani studenti e lavoratori: non c'è nulla di cui stupirsi, dato che, ai fini dell'alternanza di governo, lo scopo dei socialisti francesi è quello di arrivare a misure precarizzanti simili con la concertazione e possibilmente in un clima di maggior pace sociale. Ma anche il Pcf (Partito comunista francese, membro della Sinistra Europea) si è limitato a qualche presa di posizione in parlamento, di fatto disertando i luoghi della protesta. Le stesse burocrazie sindacali non solo, come abbiamo visto, frenano le proteste ma addirittura propongono miglioramenti nella gestione della "flessibilità del lavoro" (che non è quindi messa in discussione).
 
Per lo sciopero generale prolungato fino alla cacciata del governo Villepin!
 
Le proteste di questi giorni hanno dimostrato non solo che le giovani generazioni non sono disposte ad accettare che la crisi del sistema capitalistico venga scaricata sui giovani lavoratori, ma anche che non c'è spazio, quando la lotta arriva a mettere in discussione il governo e i centri del potere economico, per i sogni di visionari non violenti. I giovani francesi non hanno esitato a rispondere alla repressione poliziesca con le barricate: come dimostra la sorte subita dal sindacalista in coma, la pretesa di affrontare uno scontro con lo stato e i suoi apparati "a mani alzate" (come vorrebbe Bertinotti) ha solo del ridicolo. E non è un caso che nessuno si scandalizzi in Francia per qualche vetrina rotta: la posta in gioco è molto più alta e riguarda il futuro dei giovani proletari di tutta Europa.
 
Ora più che mai occorre lanciare la parola d'ordine dello sciopero generale, non solo per il ritiro del provvedimento ma fino alla cacciata di Chirac e del governo De Villepin. Solo la lotta ad oltranza (come già successo in Francia col governo Juppé) sviluppata questa volta in una prospettiva anticapitalista  potrà dare una risposta alle domande di tanti giovani che subiscono gli effetti devastanti della precarizzazione del lavoro e offrire un'alternativa alla barbarie del capitalismo.

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