LE MASSE IN PIAZZA
CONTRO LA DITTATURA ASSASSINA
Sempre di più sono i siriani che a causa della repressione stanno scappando in Libano (dal 7 settembre oltre 3.500 sono i siriani che hanno attraversato la frontiera verso il Libano), mentre sarebbero almeno sette mila i profughi riversatisi in territorio turco dal confine meridionale con la Siria. Lo scorso giovedì 15 settembre gli Stati Uniti hanno chiamato i loro connazionali a “Lasciare immediatamente il paese” finché i mezzi di trasporto commerciali sono ancora disponibili.
La velocità con cui si stanno susseguendo sempre nuovi segnali di crisi, in Siria, è impressionante: le sanzioni economiche dell’Unione Europea, la presa di posizione russa di condanna delle stesse, le parole del premier turco Erdogan che da ex alleato di Damasco (capitale della Siria) ora afferma che “Questo tipo di dirigenti devono comprendere che la loro era è finita perché il tempo dei regimi oppressori è terminato”, il Qatar e l’Arabia Saudita che hanno richiamato i loro ambasciatori, l’Iran che ha presso le distanze da Damasco. Bashar si ritrova sempre più isolato nella scena internazionale.
Infine, la nascita (giovedì 14 settembre) del primo Consiglio Nazionale dell’Opposizione con l’obiettivo di rovesciare la tirannia d’Assad, Consiglio formato da 140 membri di cui metà in esilio, a conferma di un clima d’attesa sempre più pressante in Siria.
Le insurrezioni che da gennaio hanno coinvolto tutto il mondo arabo fanno parte di un processo rivoluzionario scoppiato a causa della crisi e dell’aumento dei prezzi, del divario economico enorme tra le popolazioni e la classe dominante e della mancanza di diritti minimi dovuta a governi decennali dei tiranni. Ma è anche il prodotto di un’identificazione da parte delle popolazioni della comune e convinta solidarietà alla popolazione palestinese e al conseguente ripudio dello Stato di Israele. La questione della Palestina, combinata con la consapevolezza che tutte le mobilitazioni sono parte di uno stesso processo, mette in chiaro che il ruolo di Gheddafi e Assad in Libia e Siria è lo stesso degli altri dittatori del mondo arabo. Per costruire e rafforzare la rivoluzione araba, la lotta deve essere rivolta contro questi dittatori e contro l’imperialismo. Dittatori che, oltre ad essere colpevoli di aver rivolto le armi contro il proprio popolo, rappresentano anche i difensori della pace sociale durata tutti questi anni a tutela dello Stato di Israele.
La Libia di Gheddafi e la Siria di Bashar el Assad sono governi considerati amici e difesi da Chavez e Castro (e dagli sparuti gruppi stalinisti di casa nostra). Il loro è nei fatti uno schierarsi contro la rivoluzione a favore di regimi che da anni hanno, in varie forme, costituito una garanzia per gli interessi dell'imperialismo (paradossalmente tutto ciò viene fatto invocando un presunto "antimperialismo" e accusando chi difende le rivoluzioni di essere "amico della Nato").
Il regime degli Assad in Siria rappresenta una dinastia: oltre quarant’anni di dittatura. L’attuale presidente ha ereditato dieci anni fa il potere da suo padre Hafez, che aveva governato dal 1971. La famiglia Assad controlla tutte le istituzioni, l’esercito e la guardia presidenziale e la dittatura siriana è scesa a patti con Israele ed è stata la chiave per la “pacificazione” della zona a spese del popolo palestinese. Questo mentre la popolazione vive nella miseria, oltre il 30 per cento ha un reddito al di sotto della soglia di povertà e con alti indici di disoccupazione.
Contro questa situazione la popolazione si è sollevata. Il passaggio di ampi settori dell'esercito dalla parte dei manifestanti (già ci sono state le prime diserzioni) potrebbe modificare rapidamente il quadro.
Solo chi non vuole vedere non capisce che un ulteriore sviluppo delle mobilitazioni in Siria, combinato con gli sviluppi di questi giorni in Yemen, potrebbe rialimentare sia la lotta rivoluzionaria che prosegue in tanti Paesi della regione, sia contribuire all'ulteriore estensione del contagio rivoluzionario ai pochi Paesi dell'area per ora rimasti relativamente stabili. A loro volta, queste nuove fiammate delle rivoluzioni arabe danno nuovo alimento alla crescita delle lotte in Europa. La combinazione di tutti questi elementi con l'aggravarsi della crisi dell'economia capitalistica determina uno scenario mondiale senza precedenti. La costruzione di una direzione rivoluzionaria internazionale è più che mai il compito principale di tutti coloro che vogliono porre fine alla società divisa in classi.