Partito di Alternativa Comunista

Il partito che ha cambiato e cambierà la storia

Il partito che ha cambiato e cambierà la storia

 

 

 

di Francesco Ricci

 

 

«Il partito è lo strato cosciente e avanzato della classe, la sua avanguardia. La forza di questa avanguardia è di dieci, cento volte maggiore del numero dei suoi iscritti. È possibile? Può la forza di un centinaio superare la forza di un migliaio? Lo può e la supera quando il centinaio è organizzato. L’organizzazione decuplica le forze».

V.I. Lenin, «Come Vera Zasulic uccide il liquidatorismo» (1913)

 

Sono passati 120 anni dal più importante dei congressi. Con ogni probabilità saremo tra i pochi a festeggiare quell'evento che ha cambiato la storia non solo del comunismo ma anche dell'umanità. In quel lontano 1903 è nato il bolscevismo, cioè quello sviluppo novecentesco del marxismo che ha consentito, quattordici anni dopo, alla classe operaia di prendere il potere in Russia e di «sconvolgere il mondo», parafrasando il titolo della celebre opera del rivoluzionario statunitense John Reed, partecipe dei fatti.

 

Un congresso tra le pulci

Il 30 luglio 1903, a Bruxelles, inizia il II congresso del Partito operaio socialdemocratico russo (Posdr). Si tratta del primo vero congresso, dato che quello fondativo, nel marzo 1898, si era concluso con l'arresto di gran parte dei dirigenti. Il congresso si svolge in un vecchio deposito di farina, popolato da pulci che tormentano i delegati. Poi, il 7 agosto, per sfuggire alla polizia (e alle pulci) i delegati si trasferiscono a Londra.
Sono inizialmente 43 delegati che dispongono in tutto di 51 voti deliberativi mentre altri 14 hanno un voto consultivo. Le 51 deleghe sono così suddivise: 33 sono in mano ai sostenitori del giornale Iskra (cioè «la scintilla», che inizia ad uscire dal dicembre 1900), 5 al Bund (l'organizzazione ebraica), 3 agli economicisti (1), 10 infine a delegati non facenti parte di nessuna tendenza interna. Tra i delegati dell'Iskra troviamo i due protagonisti dello scontro che si animerà dopo poco: Lenin e Martov; e anche altri nomi che già erano famosi, come Plechanov, padre del marxismo russo; o che diventeranno famosi, come Trotsky, che aveva solo 24 anni.
La prima discussione è sul programma e su questo tema lo scontro che emerge è essenzialmente tra la maggioranza che fa capo all'Iskra e la minoranza guidata dagli «economicisti». Alla fine il programma è votato quasi all'unanimità.
Il vero scontro, imprevisto, si sviluppa a partire dalla discussione dello Statuto del partito.
Il dibattito verte sul primo articolo dello Statuto, che regola l'appartenenza al partito. Lenin e Martov presentano due formulazioni apparentemente simili, in cui però poche parole diverse cambiano il significato.
Per Martov essere membri del partito implica la condivisione del programma, impegnarsi nel sostegno all'autofinanziamento dell'organizzazione e fornire una qualche forma di attività. Condizioni che oggi, notiamo di passata, già sarebbero considerate molto restrittive in qualsiasi partito riformista (e anche semi-riformista o centrista).
Per Lenin ciò non è sufficiente: è necessaria una quotidiana militanza disciplinata.
Su queste proposte, avanzate dai due dirigenti «giovani» dell'Iskra (i «vecchi» erano i tre veterani provenienti da una rottura di sinistra del populismo: il già citato Plechanov, Vera Zasulic e Akselrod), il dibattito si prolunga.
Per Martov la proposta di Lenin è troppo restrittiva: ridurrebbe il partito, a suo dire, a un gruppo cospirativo di tipo «blanquista», lascerebbe fuori dalla porta tanti simpatizzanti, lavoratori che scioperano e lottano.
Lenin risponde che con la formulazione di Martov si aprirebbero le porte del partito a chi non fa reale militanza, a chi è disposto a sacrificare per la rivoluzione solo qualche sera libera. I simpatizzanti, dice Lenin, vanno organizzati attorno al partito: ma tenuti rigorosamente distinti dai militanti.

Si vota. 21 delegati che dispongono di 28 mandati (ogni delegato poteva disporre di più di una delega) votano per la proposta di Martov. Lenin raccoglie 20 delegati con 23 mandati. In termini di delegati, dunque, Martov vince per uno. Con Martov si schiera la maggioranza della redazione dell'Iskra e tutta l'ala «destra» del congresso (tra cui gli economicisti); con Lenin si schiera Plechanov. Trotsky, che pure era considerato il pupillo di Lenin, sostiene Martov (un errore grave, come avrà a dire egli stesso negli anni successivi, e che in ogni caso corresse poco dopo, rompendo coi menscevichi).
Nell'immediato quasi nessuno ha percezione dell'importanza di questa votazione su una questione «organizzativa».
Martov è in maggioranza ma una parte di quelli che hanno votato con lui abbandonano nelle successive sessioni congressuali il congresso e il partito. Lasciano i delegati del Bund, perché viene respinta la loro richiesta di una larga autonomia, di fatto la pretesa di una forma federativa. Lasciano alcuni economicisti. È così che Lenin si ritrova in maggioranza quando si arriva al voto per i nuovi organismi dirigenti.
Qui i rapporti numerici si invertono e la proposta di Lenin e Plechanov ottiene 24 voti, con 20 astensioni. Per la redazione dell'Iskra Lenin propone un gruppo ristretto a tre: lui stesso, Plechanov e Martov. Ma Martov decide di boicottare gli organismi eletti dal congresso e si rifiuta di far parte della redazione del giornale del partito. Plechanov, per parte sua, dopo poco si ricongiungerà coi menscevichi.
I termini bolscevichi e menscevichi, che in russo significano rispettivamente maggioritari e minoritari, nascono in questo momento, cioè col voto sugli organismi dirigenti. Da allora (più precisamente dalla fine del 1904) «bolscevichi» designerà i seguaci di Lenin e «menscevichi» quelli di Martov. Nel 1918 il partito vincitore della Rivoluzione d'ottobre cambierà il proprio nome in Partito comunista rivoluzionario, aggiungendo in coda e tra parentesi una B per bolscevico.

 

L'atto di nascita del bolscevismo

Nel 1904 Lenin farà una descrizione dettagliata del congresso nel suo Un passo avanti e due indietro. Il passo avanti a cui si riferisce il titolo consiste nell'aver votato un programma, mentre i due passi indietro alludono allo scontro sullo Statuto.
La stragrande maggioranza dei commentatori della storia del bolscevismo interpreta il fatto che Lenin non aveva previsto la scissione minimizzando il senso di quella rottura.
Ora, se è vero che nel 1903 Lenin non poteva prevedere fino a che punto sarebbe arrivata la degenerazione dei menscevichi, è altrettanto vero che si impegnò in quella battaglia campale perché vedeva nella definizione dei militanti del partito un elemento fondamentale: l'indipendenza di classe del partito. La proposta di Statuto di Martov era il graffio che avrebbe potuto trasformarsi in cancrena (come poi avvenne).
Non delimitare il partito da un punto di vista di classe, tanto in termini programmatici come in quelli (non meno importanti) organizzativi, implicava abbandonare il confine di classe.
Un partito che non fa distinzioni tra militanti e semplici sostenitori o simpatizzanti, come propone Martov, significa, spiega Lenin, un partito che non fa distinzione tra i settori più avanzati della classe e la classe nel suo insieme. Ma non fare distinzione tra i vari strati di cui si compone la classe, tra la classe in sé (tutti i lavoratori) e la classe per sé (i lavoratori coscienti), non identificare l'avanguardia, cioè quei settori che in un momento dato sono alla testa delle lotte o sono politicamente attivi, significa negare l'esigenza di far avanzare strati sempre più ampi di lavoratori arretrati. E smarrire la distinzione tra la classe, l'avanguardia della classe e l'avanguardia dell'avanguardia, cioè i militanti del partito, significa dimenticare che la classe nel suo insieme, e i suoi settori maggioritari in periodi normali, è succube dell'ideologia dominante, cioè dell'ideologia borghese.
Non solo: come costruire un partito disciplinato, fortemente centralizzato, se non si distingue chi milita da chi simpatizza? Dunque la concezione di Martov di un partito lasso comportava condurre il partito, inevitabilmente, sulla strada della collaborazione di classe.
La rivoluzione del 1905, poi i successivi sviluppi a livello russo e internazionale (la degenerazione della Seconda Internazionale e il suo crollo davanti alla guerra del 1914) confermarono che un elemento apparentemente statutario rivestiva un'importanza strategica, definiva il rapporto tra il partito e le classi.
Il solco tra bolscevichi e menscevichi andò ampliandosi fino al 1917, quando si trovarono sulle due sponde opposte della trincea di classe. I menscevichi all'interno del governo «delle sinistre» nel capitalismo, cioè di un governo borghese; i bolscevichi non solo fuori da quel governo ma opposizione inconciliabile a esso per creare le condizioni del suo rovesciamento rivoluzionario nell'Ottobre.
Numerosi sono anche coloro (persino tra chi, per un qualche equivoco, si definisce «leninista») che, sempre per minimizzare l'elemento del partito delimitato, fanno presente che dopo la scissione del 1903 menscevichi e bolscevichi conobbero vari momenti di unità, almeno fino al 1912 e persino fino al 1917. Ed è in effetti vero che il Partito comunista russo (bolscevico) si costituì con questo nome solo dopo l'Ottobre. Ma non si deve confondere l'apparenza con la sostanza. Le due frazioni, fin dal 1903, costituirono nei fatti due partiti distinti, con propri organismi dirigenti e una stampa distinta. Per questo è Lenin stesso ad affermare, contro certi presunti «leninisti» odierni, che «il bolscevismo come corrente di pensiero politico e come partito politico esiste dal 1903» (2).
È il concetto stesso di partito d'avanguardia (che non è peraltro un'invenzione di Lenin ma che Lenin sviluppa a partire dalla battaglia di Marx) a dividere le due ali della socialdemocrazia russa. E, in definitiva, a dividere ancora oggi riformisti e rivoluzionari, chi mira alla collaborazione di classe nello Stato borghese, con governi che, restando in questo Stato, non possono che essere governi borghesi (anche quando composti solo da partiti della sinistra, come fu nel 1917); e chi invece punta non a «conquistare lo Stato» o ad andare al governo ma a rompere, spezzare lo Stato borghese per costruire uno Stato operaio, cioè mira a sostituire alla dittatura della borghesia la dittatura del proletariato.

 

Il partito necessario per tornare a vincere

Abbiamo sintetizzato in forma estrema una vicenda che richiederebbe più spazio e un approfondimento di alcuni temi connessi: ad esempio sarebbe necessario soffermarsi su due opere importantissime di Lenin che fanno da cornice al congresso: il Che fare? (scritto nel 1902, l'anno prima della scissione) e Un passo avanti e due indietro (scritto nel 1904, come spiegazione appunto del congresso). Per ragioni di spazio ci permettiamo di rinviare il lettore interessato a questi temi a un nostro ampio saggio pubblicato sulla rivista teorica Trotskismo oggi (3).
Abbiamo detto, all'inizio, dell'importanza storica del congresso del 1903, atto di nascita del bolscevismo. Ma il bolscevismo non ha cambiato solo il corso della storia del Novecento.
Se oggi possiamo ancora progettare il comunismo, cioè lottare per porre fine alla società divisa in classi, col suo bagaglio di distruzione persino del pianeta in cui viviamo, è perché in quel congresso del 1903 ci fu la rottura del bolscevismo col menscevismo, cioè dei rivoluzionari coi riformisti.
Il congresso del 1903 non è dunque un lontano ricordo del passato: è qualcosa che riguarda il presente e il futuro. Nessuna rivoluzione socialista sarà realmente vittoriosa se i lavoratori e i giovani non sapranno studiare quella storia e trarre da essa gli insegnamenti per l'oggi.
In particolare ci sono almeno sei grandi insegnamenti che ci vengono da quel congresso e dagli sviluppi a cui portò nel 1917. Elenchiamoli telegraficamente.
Primo, nessuna lotta dei lavoratori e dei giovani, per quanto radicale, evolverà da sola verso la costruzione di una società nuova in assenza di un programma basato sull'indipendenza di classe dalla borghesia e dai suoi governi. Quotidianamente vediamo esempi di ciò: lotte importanti, in varie parti del mondo, che nonostante gli sforzi profusi non portano né a una vittoria complessiva né a risultati duraturi.
Secondo, questo programma rivoluzionario, a differenza della lotta di classe (che è inevitabile in una società divisa in classi), non sorge spontaneamente dalla lotta: è necessario portare il socialismo nell'ordinario scontro tra le classi, contrastando l'ideologia borghese che domina anche le teste di chi borghese non è.
Terzo, per realizzare questo scopo è necessario un partito. Non un partito qualsiasi ma simile (nei suoi elementi principali) a quello che i bolscevichi iniziarono a costruire nel congresso del 1903. Un partito che ha per scopo la conquista del potere attraverso il rovesciamento del capitalismo, la rottura rivoluzionaria dello Stato borghese, la sua sostituzione con una dittatura del proletariato, primo passo nella marcia verso una società che, avendo abolito la proprietà privata dei mezzi di produzione e di scambio, e abolendo così la divisione in classi, libera finalmente l'umanità intera da sfruttamento, guerre, miseria.
Quarto, questo partito – diverso da tutti gli altri – non può nascere dall'unione di rivoluzionari e riformisti («unità della sinistra»), o dall'unione di tutti coloro che per un qualche motivo si dicono comunisti («unità dei comunisti»): deve, al contrario, basarsi sulla demarcazione dal riformismo e sulla battaglia per distruggere l'influenza del riformismo tra i lavoratori. Questa è la precondizione per unire i lavoratori su un programma di classe. Senza la scissione del 1903 tra bolscevichi e menscevichi non avremmo avuto la Rivoluzione d'ottobre. Senza un partito bolscevico tutte le rivoluzioni dell'ultimo secolo sono fallite come sono destinate a fallire le rivoluzioni future.
Quinto, non si tratta di proclamare questo obiettivo ma di costruirlo giorno per giorno partecipando alle lotte immediate dei lavoratori e dei giovani, guadagnando i migliori elementi di queste lotte alla costruzione di un partito delimitato programmaticamente e organizzativamente. Un partito separato (cioè distinto dalle «masse») e integrato nelle lotte delle masse. Questa è la condizione, sostiene Lenin, per elevare strati sempre più ampi della classe al livello dell'avanguardia.
Sesto. Questo partito che è necessario non può che essere minoritario nelle fasi ordinarie (laddove saranno maggioritari i partiti riformisti, che seguono la corrente). Ma non per questo si deve attendere un'inesistente «ora X» per costruirlo: anzi, potrà svilupparsi con ritmi velocissimi in una fase di ascesa della lotta solo a condizione che per anni si sia lavorato a rafforzarne le basi programmatiche e organizzative.
Questi sono gli insegnamenti che ci vengono dal congresso del 1903 e dalla storia del bolscevismo. Insegnamenti che per essere messi a frutto richiedono militanti disposti a dedicare a questo obiettivo – la costruzione di un partito rivoluzionario, internazionale - la parte migliore delle loro energie e della loro vita.

 

Note

1) Gli «economicisti» che partecipano al congresso (una delle varianti di questa corrente) teorizzano una lotta a tappe: prima l'agitazione puramente economica (l'unica che, a loro dire, gli operai possono comprendere) e solo in una seconda tappa distinta la lotta politica, da cui peraltro escludono la lotta per il potere, riducendola così ad avanzare rivendicazioni al governo borghese. Nella loro teoria il socialismo scompare come orizzonte astratto e, con esso, la ragion d'essere di un partito rivoluzionario.

2) V.I. Lenin, L'estremismo, malattia infantile del comunismo (1920) in Opere complete, Editori Riuniti, 1967, vol. 31, p. 15.

3) F. Ricci, «L'attualità di un partito di tipo bolscevico», in Trotskismo oggi, n. 2 (2012). Contiene anche una ampia bibliografia sulla storia del bolscevismo.

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